Antonia Bernardini: vittima manicomiale… “Lì ci legavano come Cristo in croce”

Venerdì 14 aprile, l'inagurazione del "Piazzale Antonia Bernardini", vittima della reclusione manicomiale, nello spazio antistante l'ex OPG "Je so' pazzo!" di Materdei a Napoli.

È la prima volta che un luogo pubblico è dedicato ad una vittima del barbaro sistema manicomiale. Antonia, infatti, morì per le ustioni dovute all'incendio del letto nel quale era legata da 43 giorni.

Ecco la sua storia

La storia di Antonia è costellata di sofferenze, problemi economici e una fragilità psichica. Antonia ci prova a condurre una vita ‘normale’, cerca di farsi una famiglia. Si sposa molto giovane e ha una figlia con un uomo dal quale si separa nel 1972. Gli psichiatri dell’ospedale Santa Maria della Pietà di Roma, dove è stata ricoverata più volte, le diagnosticano una "distimica recidivante", ossia "depressione". Lo stigma della malattia mentale la perseguita da sempre e durante una crisi depressiva, Antonia, all’età di 40 anni, decide di andare a Reggio Emilia, dove già era stata curata. Così nel settembre del 1973 è in fila per il biglietto del treno alla Stazione Termini di Roma, ma viene aggredita prima verbalmente e fisicamente poi da una donna che, in attesa dietro di lei, ha troppa fretta. Antonia non ci sta e reagisce alle offese e alla violenza della donna. Nell'accesa discussione si intromette un carabiniere in borghese e fuori servizio, in coda alla stessa biglietteria. Il carabiniere si qualifica e piuttosto che placare gli animi comincia a strattonare Antonia addossandole ,arbitrariamente, la colpa della lite. Antonia neanche questa volta è disposta a tollerare i soprusi e reagisce contro il carabiniere. E la sua reazione si trasforma in un'onta"oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale". Da qui avrà inizio il suo calvario. L'arresto, l'incarcerazione a Rebibbia. E da qui all'Ospedale Santa Maria della Pietà, per poi finire in manicomio criminale, a Pozzuoli.

Nel manicomio giudiziario campano, Antonia viene legata al suo letto per 43 lunghissimi giorni consecutivi e dimenticata da tutti. Decide di accendere un fiammifero per attirare l'attenzione, perchè aveva bisogno di un bicchiere d'acqua. Fu trasportata di urgenza all'ospedale Cardarelli di Napoli, nel reparto di terapia intensiva, dove morirà il 31 dicembre 1974 dopo quattro giorni di agonia a causa alle ustioni riportate su tutto il corpo. “Sono stata spinta a fare quello che ho fatto perché ero sempre legata....Lì ci legavano come Cristo in croce", queste le ultime parole pronunciate da Antonia Bernardini al pubblico ministero nella sala di rianimazione.

La morte di Antonia porta alla decisione di chiudere il manicomio giudiziario femminile di Pozzuoli e sotto processo finiscono il direttore dell’istituto, il vicedirettore, una suora e tre vigilatrici. Condannati in primo grado, vengono tutti assolti in appello.

Una vicenda che, all’epoca, fece scalpore e venne pubblicata sulle principali testate giornalistiche, dando vita ad un dibattito pubblico sui metodi di cura adottati nei manicomi, in particolare, sulla contenzione e sulla disumanità che dimorava in quelle strutture. Una storia, quella di Antonia Bernardini, che è stata dimenticata per parecchi anni ma che, grazie al giornalista Dario Stefano Dall’Aquila e al ricercatore Antonio Esposito, è tornata alla luce nel libro scritto a quattro mani “Storia di Antonia. Viaggio al termine di un manicomio” (ed. Sensibili alle foglie).

Un racconto toccante e forte che intende restituire un pò di giustizia ad Antonia, a sua figlia e a tutte le donne che ancor oggi subiscono sopraffazioni violenze